Piove. Su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, piove sui nostri maroni.
Gabry ci ha scritto una delle sue poesie più famose, sulla pioggia. A me vengono in mente solo insulti o sproloqui.
Piove. Piove sempre. Piove inesorabilmente. Piove da settimane. E il mare invade la piazza, i fiumi straripano, i laghi minacciano, le balle si riempiono. È metà maggio e la temperatura sembra quella del primo giorno di sole dopo qualche millennio di Era Glaciale, in cui i soli ad accoppiarsi erano Mammuth e merluzzi.
Piove. Ieri ho messo il cappotto. Il cappottoelecalze! A maggio! Pioggiammerda.
Piove. Su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude (ci mancherebbe solo che ci volessero pure i guanti!), su i nostri vestimenti da palombaro.
Piove su le tue ciglia nere, sìche par tu pianga (Gabry, è mascara che cola, 'ccipicchia!); non bianca ma quasi fatta virente (effettivamente il mio colorito di stamane vira verso le tonalità del kaki...).
A Gabry la pioggia piaceva. A lui che si inchiappettava le galline, come Banderas nella pubblicità dei biscotti, la pioggia piaceva. A me, invece, no.
Piove. piove sempre. Ed è lunedì.
Piove su i freschi (...'nsomma...) pensieri che l'anima schiude novella, su la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude
che sia già weekend.
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