Credevo che, una volta discussa l'ultima tesi possibile, la mia vita sarebbe stata un'infinita discesa.
Un infinito happy-hour di unicorni con iridée criniere recanti radlerine ghiacciate e carte prepagate.
Credevo avrei potuto gioire delle bellezze offerte da una vita ricca di soddisfazioni e godere delle piccole cose quotidiane, in totale tranquillità, con tutto il tempo a mia disposizione, nel pieno dello slow-living che va tanto di moda.
Pensavo che mi sarei trovata a chiedere a me stessa quale senso avesse continuare a lamentarsi dell'imminente inizio della settimana, della sveglia, delle brutture inflitte da una frenetica esistenza.
Pensavo che mi sarei trovata a decidere se porre fine a questo editoriale, per il quale avrei perso ogni interesse e del quale non sarei più riuscita a carpirne il senso.
E, invece, eccomi qui, a diffondere il mio personale puntuale piagnucoloso Angelus.
All'Urbe, all'Orbe e a voi, miei fedeli lettori.
Purtroppo - o, per fortuna, visti i tempi che corrono (discorso da vecchia, nda) - mi hanno riempita di cose da fare.
E vuoi perchè, in vista di un'estate che mi vedrebbe altresì preoccupata nel tentativo di distinguermi dal materassino gonfiabile, nelle prossime settimane tirerò a campare di solo pollo e foglie verdi, vuoi perchè la primavera mi si spalma addosso come una gettata di cemento, vuoi perchè questa settimana ho sofferto di un cagotto debilitante che ha sputtanato la mia flora intestinale, io mi sento affaticata.
Mi sento affaticata e questo lunedimmerda mi osserva dall'alto come Golia guardava Davide.
Con la differenza che io non ho la stessa prontezza di riflessi.
Io, la mia chance di dimostrare prontezza, l'ho sprecata alla nascita, quando sono venuta al mondo di giovedì, giusta in tempo per ambientarmi un attimo in vista del weekend.
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