Sono tornata dalla Puglia con il bagaglio pieno.
Non tanto di souvenir o conoscenza, quanto di carboidrati, melanina, rughe d’espressione e ricordi felici.
La dieta, laggiù, è un atto d’amore e al contempo un suicidio per i resistenti all’insulina, il tripudio dei glucidi: orecchiette che si abbracciano con le cime di rapa, focacce che profumano di sole, pasticciotti fatti di strutto e crema pasticciera, panzerotti che sussurrano fedifraghi mangiami / tranquilla / non ingrasserai / buahahah!, i bastardi.
Sono partita con l’intento serissimo di partecipare ad uno steering committee europeo. Poi, complice la magia del luogo (e un’agenda flessibile), mi sono concessa una breve vacanza con le mie colleghe più navigate — da me ribattezzate le sciure.
Un quartetto improbabile e meraviglioso: loro, con la saggezza e la verve di chi ne ha viste parecchie, e io, così millennial, che cercavo di trattenere le solite polemiche sull’universo e sulle questioni sociali e di stare al passo.
Abbiamo attraversato il Salento cantando una playlist da boomer, facendo un milione di foto nonostante la cover a libretto, con l’entusiasmo delle Spice Girls in tournée, ma con meno coordinazione e più colesterolo.
E poi c’era quel mare, di un azzurro così esagerato da sembrare finto.
A casa ho trovato l’inverno, vero, ma ancora non riesco a togliermi dalla testa:
VIENI A BALLARE IN PUGLIA PUGLIA PUGLIA!
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