domenica 12 ottobre 2014

Lune-di petto

Ci sono due eventi che permettono di capire benebene le dinamiche della città in cui vivo da ormai dieci anni.
Due eventi che, come carta vetrata, assottigliano quella patina un po' lamentosa e mai contenta dei seppur sempre mondani triestini.
Due eventi: il carnevale e la Barcolana.
La Barcolana si è conclusa ieri e li ha messi tutti a nanna con un sorriso compiaciuto sulle labbra.
Li vedevi, infatti, i triestini, aggirarsi sulle rive, tra le migliaia di barche a vela, tronfi come tacchini declamando le mille virtù di una città così ricca di storia e di cultura, di mare e di sole, di cibo e di vino, di gioia di vivere.
"Qua se vivi in abbondanza!" dicono, accompagnando le parole ad un ampio gesto del braccio che apre la visuale dell'interlocutore su quella che, in effetti, resta una delle piazze più belle del -azzardo- mondo.
Quarantaseiesima Barcolana: migliaia di vele riempiono il mare che, però, è piatto come me a quattordici anni.
Io mi consolo con un piatto di bollito e crauti in uno di quegli stand di cucina tipica sovraffollati, mentre forse sta salendo un po' di brezza.
A proposito di brezza e di crauti, fa capolino dal cassetto dei ricordi un episodio che mi ha profondamente segnata. Cambio discorso e ve lo racconto perché ce l'ho qui, sulla punta del cervello.
Vi racconto di quando ho fatto una delle mie prime scoperte linguistiche.
A proposito di brezza e crauti, dicevo, ricordo perfettamente il giorno in cui, adolescente giá appassionata del ben favellare nella mia tanto amata lingua madre, ho scoperto con immenso sconcerto che "peto" (s.m. [pé-to] volg. emissione di gas dall'intestino) non si scrive con due t.
Sostenevo irremovibile che, come in effetti si pronunzia nella mia natìa forma dialettale, il sostantivo maschile in questione fosse da compitare rigorosamente con la doppia consonante, in un suono che, a mio avviso, risulta ancor oggi migliore e fermamente più deciso e credibile del semplice e monco "peto".
"Mi scappa un pétto". Convincente. Mi pareva impossibile che fosse privo di consonanti geminate.
Invece, dinanzi al Sacro Graal di Zanichelli e ad una cruda realtà riportata nero su bianco, ricordo ancora l'espressione attonita di mia madre, resa consapevole in quell'istante di avermi insegnato a riportare in modo errato una cosa così semplice e così comune.
Ricordo di aver stupito compagni di classe e amici d'infanzia con la stessa notizia, di aver cambiato delle vite.
E, nonostante ancor oggi mi suoni cacofonico, soprattutto perché "pĕto" (pĕto, pĕtis, petii, petitum, pĕtĕre) in latino significa "chiedere" (se vi pare il modo...), ho imparato ad accettare la realtà che questo colloquiale sinonimo di flatulenza sia stato etimologicamente inventato da quel dislessico di Eta Beta.
Così, "mi scappa un petto" diventa un retaggio del mio passato e, al contempo, il termine "petizione" assume tratti decisamente più ilari.
Scusate la divagazione ma mi sembrava opportuno rendervi partecipi di un episodio tanto importante quanto ricreativo. E poi lo sapete che qui, quando comincia a farsi lunedì, si finisce sempre per parlare di fisiologici ed impellenti bisogni.
Riprendo il filo del discorso ed osservo spegnersi le luci di una Trieste che, ancora una volta, ha dato del suo meglio.
Grazie Trieste, perché mi hai insegnato a dire certe parole come vanno dette.
Grazie Trieste, perché quando c'è la Barcolana io mi sento ancora più a casa, anche se qui lo si dice con una t sola.
Grazie Trieste, perché -crauti a parte- stasera metti a nanna anche me con il sorriso sulle labbra.
Ti prometto che prenderò questo lunedì...di petto!

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