Mi tuffo ed inizia, a rallentatore, il flashback di questa mattinata.
Suona la sveglia e mi sento morire.
Suona di nuovo e, solo cinque minuti dopo, muoio un’altra volta.
Mi trascino lenta come l’elefante di Michele Zarrillo fino al cesso, dove, ovviamente, non riesco ad esprimermi al meglio.
Cerco di capire dove sono gli occhi sulla faccia per infilarmi le lenti a contatto mentre ingurgito un caffè e una colazione leggera altrimenti vomito.
Il bidè mi rinvigorisce giusto quei novanta secondi che mi occorrono per indossare il costume da piscina, il quale, se si arrotola, può diventare una trappola mortale.
Sopravvivo, mi vesto alla cazzo di cane ed infilo la porta, ancora a metà nel mondo dei sogni.
La nove mi sfreccia davanti, beffarda. Ne sono quasi felice: non devo correre fino alla fermata. Poi vedo la sei in fondo al viale. Fanculo, mi precipito.
Arrivo in piscina, passo il badge, le entrate dell’anno scorso non sono più valide.
Com’è che volete tutti i miei soldi?
Mi infilo la cuffietta che mi fa sembrare tanto intelligente e gli occhialini che aggiungono al mio aspetto un nonsoché di intellettuale.
È già un successo non essere scivolata con le infradito bagnate.
Arrivo sul bordo della vasca e rifletto sullo sforzo di volontà che ho fatto per essere lì.
E poi mi tuffo.
L’acqua fredda è un anestetico, non sento più nulla. Neanche che è lunedì.
Gattono sul fondo della vasca e riemergo dall’altra parte.
Poi mi aggrappo ad una tavoletta e cerco di montarci sopra e capisco cos’ha provato Jack quando ha cercato di salire sul pezzo di legno con Rose. E perché lei non facesse niente per aiutarlo.
Faccio due bracciate.
Penso a chi me l’ha fatto fare e mi rispondo che io.
Proprio io.
Io, campionessa del mondo nel rendere sempre il lunedì più difficile di quello che è.
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