Le previsioni del tempo annunciano bora e pioggia.
Il laboratorio studenti dell’Università di Trieste, per ovviare al pericolo rappresentato dai novellini alle prese con reagenti chimici, si trova nel recondito scantinato dell’edificio tradizionalmente detto “Tutankamon” per via dell’inconsueta forma piramidale, un labirintico ecomostro di cemento armato con i piani sfalsati e i bagni con i cessetti piccoli come alle elementari.
E, dato che è previsto maltempo, la temperatura del laboratorio studenti nello scantinato del Tutankamon si aggirerà intorno allo zero assoluto.
Ricominciano così le lezioni del secondo semestre: domani un’orda di studenti del terzo anno irromperà in laboratorio, incurante del lunedì, e piegherà la mia certezza di aver ben spiegato le tecniche di biologia molecolare da mettere in pratica.
Facce bovine che mi osservano inespressive, senza far trasparire sentimento alcuno, in modo che io non possa assolutamente comprendere se sia stata molto chiara o se non si sia capito un cazzo.
Ti guardano e non sai. Azzardi una domanda e qualcuno tossisce. All’inizio sono timidi, mi dico.
E fa pure freddo.
Il laboratorio studenti, di lunedì. Anche questa non ci voleva.
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