A metà settimana mi è capitato per le mani un articolo di Vice che mi ha trasmesso più amarezza di quanta non me ne infonda io stessa ogni lunedì. Nasceva come un articolo spiritoso, ben scritto, sulla vita di un trentenne lavoratore, la cui esistenza ruota tra il recarsi al lavoro e preparare tupperware.
Lì per lì l’ho trovato esilarante, soprattutto per il tono sarcastico e per le perifrasi ricolme di doppi sensi, ma poi ha lasciato spunti per una profonda riflessione. Che riguarda i tupperware.
In effetti, pensandoci, anche la mia esitenza ruota intorno ai tupperware, che non sai come riempire, che non sono mai abbastanza. E la sera si riduce alla preparazione della schiscetta per il pranzo, sottraendo anche piacere alla cena, visto che le due operazioni sono contemporanee.
Così, oggi, ho preparato i tupperware fino a mercoledì, una titanica impresa, in modo da poter vivere un po’ di più e organizzare un po’ di meno i prossimi giorni.
Fuori la luce è cambiata, da ieri c’è un’ora in più al giorno per goderne appieno.
E non per pensare a quale componente proteica aggiungere alle verdure bollite già stipate nel tupper.
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