Ormai l'avevamo appurato: tanto più dura il weekend, quanto è più difficile affrontare il lunedì. Mi sento morire.
E, morendo, introduco il tema del post di oggi.
Sabato e domenica li ho trascorsi, quasi interamente, a sprimacciare, di tanto in tanto, il cuscino. E basta.
Mi sono rotolata tra le coperte tutto il fine settimana, come un porcellino nano nel trogolo, come l'orsetto delle Golia Bianca nella neve, come un icecream rudolated in the nocciolins (citazione per pochi eletti maccheronici poliglotti papà).
Ma venerdì no. Venerdì sono andata ad una festa. Vestita sobria ma truccata da závera.
Venerdì era Halloween.
Halloween è la festa dei morti, della zucca, dei mostri e del dolcettoscherzetto.
Halloween è un'empia festa pagana che trae le sue origini da celebrazioni celtiche e che, di certo, non fa parte delle nostre più pacate e fideistiche festività tradizionali.
Halloween, o Alouei, è la festa con quel nome strano che molti autoctoni non riescono a pronunciare bene...
Halloween coincide con la nostrana festa di Ognissanti, onomastico di chiunque, ma che di santo ha ben poco.
Halloween, infatti, più di tutto, è la festa della scarsa morigeratezza!
Alla festa di venerdì v'era un'orda di signore, anche piuttosto attempate, che, nel vano tentativo di sembrare streghe sexy o graziose bambole assassine, fasciate in miniabiti di latex e pailettes (che fanno subito party!), cercavano di accaparrarsi, invereconde, gli sguardi di giovani fanciulli, potenziali toyboys. Quello che non capisco è il parallelismo tra 'strega' e 'donna di facili costumi'...ma, forse, sono io ad essere limitata.
Alla festa di venerdì c'era un quantitativo di nudità che neanche tra quelli che stanno davanti ai fornelli alla sagra del frico in agosto! Un quantitativo di unto che neanche nel retrobottega di McDonald!
Alla festa di venerdì c'era l'Inferno! Una marmaglia di persone, ovunque. Più fuori che dentro.
Lasciando ogni speranza, io che entravo nel luogo che ospitava l'evento solo per fare pipì, dopo aver amabilmente e inconsapevolmente chiacchierato all'esterno del locale, mi sono ritrovata in un mefistofelico girone di anime perse in un acheronteo fiume di rum e cola.
E ho avuto paura.
Adesso -voglio dire- non è la prima festa a cui partecipo.
Anzi, direi che nei primi anni di vita universitaria avrei ben potuto tenere dettagliatissimi seminari su gozzoviglie, bagordi e hangover, innanzi ad aule magne gremite di matricole assetate di conoscenza sociallite e bisboccia.
Però, questa volta, ho avuto paura.
Io, con il mio caschetto biondo decorato da un cerchietto di pipistrelli (terrore, eh!) e quello che credevo essere un trucco da fatal brodegona ma che, confronto agli altri, mi faceva sembrare una comparsa del presepio vivente, mi sono sentita fuori luogo.
Alle 5.30 sono tornata a casa e, cercando di infilare con le ultime energie rimaste la chiave nella toppa, ho pensato di non avere più l'età, di aver assunto, finalmente, la solida e concreta forma mentis delle donne che lavorano, di aver messo il punto alla mia età del cazzeggio.
Ma poi arriva la domenica sera.
E con essa, il rimpianto e la consapevolezza che preferirei essere ancora in mezzo a quella bolgia di luci, a quella babele di tunztunz, a quello zibaldone di ascelle, piuttosto che affrontare questo lunedìmmerda.
Così lunedìmmerda che, quasi quasi, io e la mia zucca restiamo nel lettino fino al prossimo weekend.
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